Quanto risparmieremo davvero con la riforma del Senato
Ecco a quanto ammontano
realmente i risparmi dalla trasformazione del Senato della Repubblica e cosa
potrebbe cambiare nei prossimi anni a Palazzo Madama.
Partiamo da qualche assunto di base,
utile alla comprensione dell’oggetto della discussione. Il disegno di
legge costituzionale del Governo Renzi non
“abolisce” il Senato della Repubblica, ma pone fine al bicameralismo paritario,
affiancando alla Camera dei deputati un Senato delle Autonomie. La composizione
di tale camera è “mista”, con eletti di secondo livello (dagli enti
territoriali), membri di diritto (i sindaci dei capoluoghi di regione),
senatori a vita e membri nominati direttamente dal Presidente della Repubblica
tra la “società civile”. Nessuno dei 148 membri percepirà una indennità (resta da
capire quale sarà la disciplina per gli attuali senatori a vita), mentre
bisognerà valutare quale sarà la frequenza (e la partecipazione) delle riunioni
del Senato delle Autonomie.
In seconda battuta
bisogna considerare il processo di revisione della spesa attuato non solo nel
corso di questa legislatura. Come confermato dai dati ufficiali diffusi dal
Senato, il “complesso dei risparmi in tre esercizi
ammonta dunque a circa 24 milioni di euro e si registra comunque un positivo
equilibrio fra le entrate e le spese, con un avanzo di esercizio che passa dai
52 milioni del 2010 ai 23 del 2012″. Insomma, la lettura di Grasso (“io sono il
primo rottamatore del Senato”) non è del tutto priva di fondamento. In generale
però la spesa complessiva del Senato
della Repubblica ammonta a circa 520 milioni di euro l’anno:
una cifra che però non può essere messa interamente a bilancio come “risparmio”
proveniente dalla riforma del Governo Renzi. Vediamo perché.
Il Senato spende meno di 43 milioni all’anno per lo stipendio
dei senatori, cui
bisogna aggiungere i circa 20 milioni di euro di rimborso per spese sostenute e
i 37 milioni di euro che vengono assegnati ogni anno ai gruppi parlamentari.
Una somma totale di 100 milioni di euro che sarebbe “interamente” risparmiata
con la nuova formula. Resterebbe invariata anzi, destinata a subire un (iniziale,
ma considerevole) aumento la quota destinata al “trattamento dei senatori
cessati dal mandato”, che nell’ultimo bilancio incideva per 82 milioni di euro.
Allo stesso modo non ci sarebbero variazioni (se non in negativo) per quel che
concerne le spese per i trattamenti previdenziali di dipendenti e parlamentari,
che incidono per oltre 150 milioni di euro, circa il 30% della spesa
complessiva del Senato. Quindi, ricapitolando: il risparmio per quel che
concerne il trattamento economico di senatori e dipendenti ammonterebbe a soli
100 milioni di euro, cifra dalla quale vanno stornati gli aumenti dei costi per
trattamenti previdenziali e di fine mandato dei senatori “liquidati” in blocco
(dal momento che, ovviamente, non ci saranno conferme a Palazzo Madama).
Il secondo enorme blocco
di spesa del Senato della Repubblica è costituito dalla spesa corrente che
regola il funzionamento di Palazzo Madama e fino a qualche anno fa rappresentava un condensato di sprechi e
scelte decisamente discutibili. Una situazione in parte migliorata negli ultimi
tempi e che potrebbe essere ulteriormente sanata con la riforma impostata dal
Governo. Ma in quale misura? Ecco, proviamo ad esempio ad isolare alcune voci.
Le spese per servizi e forniture di supporto al funzionamento dell’Istituzione
ammontano a circa 60 milioni di euro e comprendono una serie di voci destinate
probabilmente a subire un ridimensionamento. Per la sola comunicazione
istituzionale ad esempio Palazzo Madama spende ora 6 milioni di euro, per studi
e documentazioni circa 2 milioni, per i servizi informatici e di riproduzione 7
milioni: capire quanto si risparmierà di questi 15 milioni è decisamente
complicato, tuttavia si può provare a fare un rapporto prettamente numerico sul
numero (e sulla frequenza della riunioni, che diminuirà notevolmente), bloccare
le “spese fisse” ed ipotizzare un taglio di circa il 50% dei costi. Interamente
risparmiate sarebbero invece le spese per le attività delle commissioni, circa
3 milioni di euro. La manutenzione, le locazioni, le pulizie ed i servizi di
trasporto costano invece complessivamente circa 25 milioni di euro: una cifra
che difficilmente subirà variazioni. Stesso discorso per le spese di
cerimoniale e rappresentanza (meno di 2 milioni di euro), comunque in via di
diminuzione negli ultimi anni; simile la questione sul “personale ed enti” che
forniscono servizi al Senato, che può essere ridotto ma non eliminato tout
court. Praticamente impossibile intervenire invece su questa voce:
Insomma, di che risparmi
parliamo complessivamente? Inizialmente avevamo spiegato come la somma sicuramente risparmiata
fosse di 100 milioni di euro all’anno, aggiungendo poi risparmi successivi per
circa un’altra decina di milioni di euro. Pur ammettendo che la diminuzione
della mole di lavoro e del numero di parlamentari possa comportare ulteriori
economie per circa il 20 / 30 percento delle spese di funzionamento, non si
andrebbe insomma molto oltre dalla cifra di circa 120 milioni di euro l’anno.
Ma attenzione, perché da questa cifra bisognerà probabilmente stornare i
rimborsi spesa per i viaggi a Roma dei nuovi membri del Senato delle Autonomie
e capire quale “dotazione” avranno a disposizione. Insomma, in un modo o
nell’altro i conti tornano: con la riforma si risparmierebbero circa 100
milioni di euro l’anno.